Quel che vi serve sapere: Il Leopardo Nero si è scontrato con la misteriosa Anastasia, killer assoldata da Vlad l’Impalatore, boss di un’organizzazione criminale che traffica in esseri umani ed è stato apparentemente ucciso.

Nel frattempo la sua compagna Okoye, ha catturato Zebra Daddy che forse ha importanti informazioni su Vlad

Intanto in Wakanda, M’Koni, la nuova Pantera Nera, deve affrontare nemici interni ed esterni.

 

 

 

Di Carlo Monni

(con tanti ringraziamenti a Carmelo Mobilia e Mickey)

 

 

Capitolo 16

 

Venti di guerra

 

 

Palazzo Reale del Wakanda.

 

Le tre donne non riuscivano a credere ai loro occhi. Quella che era appena piombata nell’ampio corridoio infrangendo una finestra era una figura tristemente nota: Nakia, colei che era con Okoye la migliore delle Dora Milaje, Nakia la traditrice che, spinta da un’insana gelosia, aveva infranto il suo giuramento di fedeltà al suo sovrano tentando di ucciderne la promessa sposa.[1]

Fu Ayo, attuale leader delle Dora Milaje, la prima a reagire dopo un momento di comprensibile stupore.

<Muori, traditrice!> gridò cercando di infilzare la sua nemica con la lancia ma Nakia, evitò con facilità il colpo, poi afferrò la lancia e la usò per sbilanciare Ayo.

<Lasciarsi guidare dalla rabbia non è mai saggio, Ayo.> le disse mentre le vibrava al collo un colpo con il taglio della mano.

Mentre Ayo cadeva a terra rovinosamente, la sua compagna Aneka si lanciava contro Nakia urlando:

Maledetta!>

 La sua avversaria usò la sua lancia per farla inciampare. Aneka, trascinata dal suo stesso slancio finì contro una vicina parete.

<E lo stesso vale per il troppo amore.> aggiunse Nakia con amara ironia.

Le sue avversarie erano entrambe fuori combattimento.

Ostentando calma Nakia si rivolse all’ultima donna ancora in piedi oltre a lei stessa:

<Rimani solo tu… mia sovrana.>

M’Koni, legittima regina del Wakanda e Pantera Nera sospirò e dopo un attimo di lieve esitazione si calò la maschera rituale sul volto.

 

 

Manhattan, New York City.

 

La donna che si faceva chiamare Sasha Montenegro entrò in uno dei salottini privati del famigerato club Infernale dove la stava aspettando un giovanotto elegante ed anche piuttosto attraente che si alzò galantemente al suo arrivo.

<Spero di non averla fatta attendere troppo, Mr. Dinu.> disse la donna ostentando un lieve sorriso.

<Ad una bella donna si perdona sempre un po’ di ritardo.> replicò il giovane

<Apprezzo molto la sua galanteria. Fa piacere vedere che i veri gentiluomini esistono ancora ma ora lasciamo stare i convenevoli. Siamo qui per concludere una transazione d’affari dopotutto, quindi…>

La donna si sedette davanti all’uomo di nome Nicolae Dinu, frugò nella sua borsetta, ne estrasse un pezzo di stoffa che posò sul tavolo e disse:

<Questa è la maschera del Leopardo Nero. Il suo cadavere giace in fondo all’Harlem River.>

Nicolae prese la maschera, la rigirò tra le dita per qualche istante poi replicò:

<Uhm… suppongo che dovrò accontentarmi. In fondo l’importante è che quel bastardo sia stato tolto di mezzo. Devo complimentarmi per l’efficienza della sua organizzazione. Ha assolto l’incarico in meno di ventiquattr’ore.>

Sasha fece un sorriso ammiccante e ribattè:

<Costiamo molto ma valiamo anche molto e a questo proposito…>

<Immagino voglia riferirsi alla seconda parte del compenso concordato. Bene, io…>

<Se vuole attendere ulteriori conferme che il Leopardo Nero sia effettivamente morto, la capisco. I cosiddetti eroi in costume hanno una tradizione di ritorno dalla morte piuttosto seccante.>

<Facciamo cosi, allora: le farò accreditare immediatamente metà della somma e l’altra metà quando la morte del Leopardo Nero sarà confermata senza ombra di dubbio… ma ad un patto.>

<E sarebbe?>

<Che lei accetti di essere mia ospite a cena questa sera.>

Sasha scoppiò in una risata divertita poi disse:

<Hai uno strano modo di fare la corte, Nicolae, ma mi piace. Accetto la tua proposta… e puoi chiamarmi Sasha.>

 

 

Palazzo Reale di Wakanda.

 

Quando finalmente parlò, era evidente una nota di amarezza nella voce di M’Koni:

<E così sei arrivata a questo punto Nakia… o preferisci che ti chiami Malizia? Non è questo il nome che ti sei scelta da quando sei diventata una mercenaria?>

<I nomi non hanno importanza.> ribatte Nakia <Del resto, tu ti fai chiamare Pantera Nera ma non sei degna di lui, del suo nome e lo dimostrerò sconfiggendoti.>

Il tempo della parole era finito. Malizia lanciò un grido e spiccò un balzo verso M’Koni che riuscì ad evitarla per un soffio.

Nakia si girò di scatto e le sferrò un calcio all’addome poi usò il manico della sua lancia per colpirla al mento.

M’Koni crollò a terra e sentì la punta della lancia di Nakia sulla gola e la voce della ragazza dire:

<Ti sei allenata, hai preso le erbe e credevi di essere la Pantera Nera ma ti manca lo spirito ed è per questo che morirai oggi.>

 

 

Harlem, New York City.

 

La limousine si fermò in un vicolo e ne scesa scese una corpulenta donna di colore. Il suo nome era Bridget Hapanmyas e fino a poco tempo prima era la Presidente di un piccolo Stato africano chiamato Djanda. Approfittando della sua assenza per partecipare ad una sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il suo governo ed il Parlamento avevano deciso di aderire alla Federazione Panafricana guidata da Joshua N’Dingi, meglio noto con il soprannome di Dottor Crocodile..

Nel giro di ventiquattr’ore Bridget Hapanmyas da temuta e spietata dittatrice si era ritrovata ad essere una fuggiasca ricercata per crimini contro l’Umanità, una situazione a cui intendeva porre almeno un parziale rimedio, che era poi il motivo per cui si trovava in quel vicolo di Harlem sul retro di locale notturno.

Certo, avrebbe potuto scegliere un’auto meno appariscente ma per una come lei era difficile rinunciare a certe abitudini, il che poteva dimostrarsi un grosso sbaglio.

Seguita da una guardia del corpo con il fisico di un armadio, Bridget si avvicinò ad una porticina che si aprì immediatamente. Evidentemente, anche se non erano visibili, c’erano delle telecamere in azione.

Un afroamericano massiccio si presentò sulla soglia e disse:

<Venite.>

I due lo seguirono lungo un corridoio fino ad una porta e di nuovo l’afroamericano parlò:

<Lei entra. Lui resta fuori.>

La guardia del corpo di Bridget fece per replicare ma lei lo zittì:

<Va bene cosi, Jerik.>

L’uomo chiamato Jerik guardò in cagnesco l’altro uomo, poi incrociò le braccia.

Bridget fu fatta entrare in un ufficio ben arredato. Dietro una scrivania che non era stata certo comprata all’IKEA sedeva un afroamericano sulla quarantina, barbetta e baffi appena brizzolati. Portava occhiali con montatura di tartaruga.

<Si accomodi, Mrs. Hapanmyas.> la accolse indicando un’ampia poltrona <Devo dire che è un onore per me averla qui.>

C’era una punta di ironia nella sua voce? Alla corpulenta africana non interessava. Mentre si sedeva disse:

<Pensavo di incontrare Morgan.>

<Ahimè, Morgan in questo momento ha delle difficoltà che non gli permettono di lasciare la sua abitazione o ricevere visite[2] così ha incaricato me di trattare con lei. Mi chiamo John James Toomey e tra le altre cose sono il gestore di questo club.>

<Non sono abituata a trattare con i sottoposti.> replicò la donna con un evidente tono di disprezzo.

<Eppure stavolta dovrà farlo.> ribattè Toomey in un tono decisamente meno accomodante <Parliamoci chiaro: lei non è più la Presidente del Djanda. Anzi: il Djanda non esiste più, è diventato una provincia della Federazione Panafricana ed ora è governato dal suo principale oppositore. Se torna in patria sarà arrestata, se resta negli Stati Uniti potrà essere estradata o raggiunta da un mandato di cattura della Corte Penale internazionale per crimini contro l’Umanità e per lei sarebbe forse meglio finire nelle mani delle autorità dell’Aja perché la giustizia del suo paese sarebbe molto ma molto meno tenera nei suoi confronti. Lei deve lasciare urgentemente gli Stati Uniti per raggiungere una qualche nazione senza accordi di estradizione con chiunque la vorrebbe. Deve farlo clandestinamente e noi possiamo aiutarla… per il giusto prezzo ovviamente.>

Bridget Hapanmyas sembrava sul punto di scoppiare. Le vene sul collo pulsavano, i pugni erano stretti e la sua espressione feroce poi si rilassò ed estrasse un sacchetto dalla borsetta.

<Posso pagare… con questi.>

<Aprì il sacchetto e con un gesto teatrale ne fece cadere parte del contenuto sulla scrivania.

<Diamanti grezzi.> disse <Già così valgono una fortuna. Una volta tagliati il loro valore sarà decuplicato.>

<Diamanti di sangue.> commentò Toomey soppesandone un paio nella mano destra <Il loro commercio è illegale ma ovviamente questo non è un problema. Naturalmente lei comprende che dovrò farli esaminare da un esperto.>

<Nessun problema. Ne scelga liberamente due o tre.>

<Bene, vedo che ci intendiamo adesso. Credo che avrò la risposta per domani sera. Ci rivedremo qui a quest’ora.>

Dopo che Toomey ebbe prelevato un paio di pietre Bridget riprese il sacchetto, lo richiuse e lo rimise nella borsetta poi si alzò. Non fece nemmeno un cenno di saluto e si avviò alla porta.

Toomey si concesse un accenno di sorriso.

 

 

All’esterno del club.

 

Mentre risaliva sulla limousine, Bridget Hapanmyas non si accorse che qualcuno la stava osservando.

La persona in questione era sul tetto del palazzo di fronte e solo chi avesse saputo dove guardare l’avrebbe potuta vedere.

Non adesso, si disse, ma presto, molto presto.

 

 

Palazzo Reale di Wakanda.

 

Come si dice che accada in questi casi, mentre la punta della lancia di Nakia le accarezzava la gola M’Koni rivide in un lampo i momenti più importanti della sua vita: la sua partenza per gli Stati Uniti, il matrimonio fallimentare con Jackson Wheeler, la nascita di suo figlio Billy.

Forse fu il pensiero di suo figlio a spingerla a reagire. Con una rapidità che sorprese perfino lei, scattò e le sue mani strinsero la lancia della sua nemica. Con sua meraviglia Nakia si ritrovò proiettata oltre la sua avversaria e le sue dita persero la presa sulla sua arma.

M’Koni si alzò di scatto e disse:

<Che ti piaccia o no, io ora non sono più solo M’Koni, sono la Pantera Nera!>

Anche Nakia si era rialzata e senza dire una parola si lanciò su M’Koni.

Tra le due donne cominciò un duello senza esclusione di colpi fatto di mosse e contromosse senza che l’una riuscisse a prevalere sull’altra.

<Sei brava, te lo concedo.> disse Nakia <Ma non abbastanza. T’Challa e forse anche Okoye mi avrebbero già sconfitto ma tu non sei alla loro altezza.>

Sotto la maschera gli occhi di M’Koni si ridussero a due fessure. Le parole di Nakia l’avevano colpita. In cuor suo non era certa di essere all’altezza di chi l’aveva preceduta. Shuri non avrebbe avuto di questi dubbi e probabilmente nemmeno Khanata ma i suoi cugini non erano lì, c’era solo lei e lei era la Pantera Nera, il Wakanda contava su di lei e doveva dimostrarsi degna del suo ruolo.

<Sai una cosa, Nakia?> disse improvvisamente <Hai troppa fiducia in te stessa…>

M’Koni spiccò un balzo, fece un’incredibile capriola, roteò su se stessa ed infine piombò sulla sua avversaria colpendola a gambe unite. La forza dell’impatto fece cadere Nakia e prima che potesse rialzarsi un calcio rotante la raggiunse al mento.

Mentre lei cadeva definitivamente sul pavimento, M’Koni terminò la sua frase:

<… e la troppa fiducia può farti sbagliare… e perdere.>

 

 

Un’altra zona della Capitale, meno di mezz’ora primo

 

L’uomo non più giovane e corpulento non manifestò alcuna sorpresa o paura quando l’uomo muscoloso con un teschio tatuato sul volto entrò nel suo studio e disse:

<Buonasera, Dottor Akeja.>

Senza scomporsi, l’altro replicò:

<Raoul Bushman. Non esattamente l’ambasciatore che mi aspettavo dal Dottor Crocodile, perché è da parte sua che viene, giusto?>

<Il Presidente N’Dingi, mi ha autorizzato a farle un’offerta.>

<Che genere di offerta?>

<Lei è il leader dei Desturi, un’organizzazione politica che è contraria all’attuale governo di Wakanda e dispone anche di un’efficiente rete clandestina.>

Akeja sembrò per la prima volta sorpreso.

<Vedo che è molto ben informato.> commentò cercando di mantenere una maschera di impassibilità.

<Sappiamo molte più cose di quante lei creda. Sappiamo, per esempio, che il Wakanda sta per rompere gli indugi ed intervenire a sostegno di quegli Stati della regione che non hanno accettato l’offerta di unirsi pacificamente alla Federazione Panafricana.>

<E quindi N’Dingi ha mandato lei ed i suoi famigerati commandos… come vede, anche io so qualcosa… a preparare il terreno per l’invasione del Wakanda?>

<Possiamo metterla così, sì. E questo ci porta all’offerta di cui parlavo: se i Desturi ci aiuteranno a disabilitare le difese del Wakanda consentendo così una rapida conclusione della guerra in nostro favore con il minimo spargimento di sangue, noi la metteremo a capi del governo che nascerà.>

<Capisco.>

Akeja si avvicinò ad un mobile bar e si versò del cognac poi disse:

<C’è una cosa che né Crocodile, né lei avete capito, Generale Bushman: io e tutti i Desturi siamo contrari all’attuale Pantera Nera ed alle sue politiche dissennate e siamo pronti anche ad usare la forza per fermarla ma siamo tutti sinceri patrioti wakandani e mai e poi mai ci alleeremmo ad un invasore straniero, anzi lo combatteremmo con ogni mezzo, il che è precisamente quello che accadrà. Può riferirlo a N’Dingi.>

Bushman chiese:

<È la sua ultima parola?>

<L’unica.> ribattè Akeja <Conoscendo la sua fama, suppongo che adesso abbia intenzione di uccidermi.>

Bushman fece un sorriso cattivo reso ancora più sinistro dal tatuaggio sul suo volto e replico:

<Preferisco lasciarla vivere quanto basta per vedere tutti i suoi sogni diventare polvere, Dottore. Vede: l’invasione del Wakanda è già cominciata.>

 

 

Palazzo Reale di Wakanda, venti minuti prima.

 

Ci poteva essere un istruttore più severo del vecchio Zuri? Si chiese Billy Wheeler, o Principe T’Chanda come ormai era chiamato in Wakanda.

Per la terza volta consecutiva quel dannato vecchiaccio, abbastanza vecchio da poter essere suo nonno a dire il vero, aveva usato il suo bastone per colpirlo e farlo rotolare a terra.

<In piedi, ragazzo!> gli si rivolse Zuri <Non diventerai mai una Pantera Nera se continui così.>

<Chi ha detto che voglio diventare una Pantera Nera?> replicò Billy rialzandosi.

<Il tuo destino. Un giorno il trono potrebbe essere tuo e devi dimostrartene degno, quindi adesso prova a farmi cadere… prova.>

Quando andava ancora alle elementari Billy sognava di diventare un supereroe come quelli che era facile vedere a New York. Gli sarebbe piaciuto essere come l’Uomo Ragno o Falcon o magari come suo cugino T’Challa. Ora sapeva che non era così facile come pensava.

<Vacci piano Zuri.> intervenne la sua corpulenta quasi omonima Zuni, membro della famiglia reale e prima donna a guadagnarsi il diritto di partecipare ai riti della Pantera Nera quando era molto più giovane… e magra <È ancora soltanto un bambino.>

<Non sono più un bambino> sbottò in tono piccato Billy <Ho tredici anni.>

<Oh sì, sei un vecchio saggio ormai.> replicò, ironico, Zuri <Beh? Sto ancora aspettando.>

<Ricorda cosa ti ho insegnato, ragazzo.> disse Mendinao, il custode dell’erba forma di cuore da cui era preparata la pozione che donava alle Pantere Nere le loro straordinarie abilità.

Billy trasse un lungo sospiro, chiuse gli occhi e si concentrò.

Le sue percezioni si fecero più acute. Odori, rumori, sensazioni si amplificavano sempre di più non aveva più bisogno della vista. Lasciò partire un colpo.

Raggiunto al plesso solare Zuri barcollò all’indietro, perse l’equilibrio e rovinò a sedere sul pavimento.

Zuni scoppiò a ridere mentre Mendinao rimase apparentemente impassibile ma le sue labbra si piegarono impercettibilmente all’insù.

Infine anche Zuri scoppiò in una grassa risata ed esclamò:

<Per la Sacra Pantera, ce l’hai fatta, ragazzo!>

Prima che chiunque potesse aggiungere altro il suono acuto di una sirena si diffuse per la stanza.

<L’allarme!> esclamò Zuni <Siamo sotto attacco!>

<Chiunque sia l’aggressore, lo faremo pentire di averci provato.> proclamò Zuri con ostentata sicurezza.

<Risparmia le vanterie per più tardi.> lo ammonì Mendinao <In questo momento il tuo primo dovere è proteggere il giovane Principe.>

<Conosco il mio dovere, vecchio.> ribattè Zuri.

Una squadra di Dora Milaje entrò nella sala, e la comandante, dalla testa completamente rasata, disse:

<Noi siamo pronte.>

<Prendete il Principe T’Chanda con voi e difendetelo a costo della vostra stessa vita come è vostro dovere.> ordinò seccamente Zuri

<Sappiamo bene qual è il nostro dovere, vecchio pazzo e lo faremo fino in fondo, puoi contarci.> ribattè la donna

Se Zuri aveva intenzione di replicare non ne ebbe il tempo. Proprio in quel momento una violenta esplosione fece saltare la parete più esterna facendo cadere a terra quasi tutti i presenti

Dallo squarcio che aveva provocato l’esplosione entrò, volando, una figura che indossava l’armatura da battaglia delle forze aeree speciali del Wakanda ma senza insegne.

<<Restate dove siete.>> disse attraverso un microfono nel suo casco <<Non fate resistenza ma arrendetevi e nessuno si farà male.>>

<<Con sua enorme sorpresa, Billy riconobbe quella voce ed esclamò:

<Papà?>

 

 

Palazzo Reale di Wakanda, dieci minuti prima.

 

Nell’ampia vasca idromassaggio c’erano solo due persone immerse nell’acqua sino al petto ed appoggiate ai bordi: un uomo ed una donna.

Lui dimostrava poco più di trent’anni, era alto, atletico ed attraente. Il suo nome era Khanata, Primo Principe del Sangue del Clan della Pantera e Presidente del Consiglio di Reggenza, il che voleva dire che in caso di morte, inabilità o assenza dell’attuale sovrana, sarebbe toccato a lui l’onore di essere la Pantera Nera per il tempo necessario, un ruolo di cui avrebbe fatto volentieri a meno ma il destino aveva deciso altrimenti.

Lei era più giovane forse di una decina d’anni ed aveva un fisico da modella. Il suo nome era Folami ed era una delle Dora Milaje, la guardia del corpo tutta al femminile del sovrano del Wakanda e dei suoi più stretti congiunti. Prima della salita al trono di T’Challa erano anche le concubine ufficiali del sovrano, mogli in prova era la dizione esatta, un ruolo comunque ora chiaramente inutile visto che il sovrano era una donna eterosessuale. I tempi cambiano e bisogna adeguarsi

Anche se non era abituato ad avere una guardia del corpo, Khanata doveva ammettere che era più che soddisfatto di avere intorno Folami.

<Non me ne andrei mai da qui.> sentenziò Khanata.

<Eppure prima o poi dovremo farlo.> replicò Folami.

<Sarà sempre troppo presto.> ribattè lui attirandola a sé.

In quel momento il suono acuto di una sirena riempì l’aria.

<Un attacco.> disse Folami staccandosi da Khanata e balzando fuori dalla vasca per poi correre verso la sua uniforme e le armi.

<Sempre sul più bello.> borbottò Khanata imitandola.

Proprio in quel momento il rombo di una vicina esplosione scosse la stanza.

Un minuto dopo la porta della sala saltò mentre l’aria si caricava di elettricità.

Il nemico era già arrivato.

 

 

Giardini del Palazzo Reale, cinque minuti prima.

 

Un uomo ed una donna che passeggiavano conversando. Davvero nulla di particolare se non fosse stato per il fatto che lui era S’Yan, il più giovane dei fratelli del defunto re T’Chaka e lei Ramonda, la vedova di quello stesso sovrano.

S’Yan vestiva un abito scuro di taglio occidentale con camicia bianca e cravatta rossa che faceva risaltare i capelli e la barba bianca. Il tutto contribuiva ad aumentare la sua naturale autorevolezza.

Ramonda, invece vestiva l’abito tradizionale wakandano.

<E cosi ti prepari a partire per New York.> disse lei.

<Il Consiglio delle Tribù ha approvato la mia nomina ad Ambasciatore presso le Nazioni Unite, quindi sì: partirò non appena possibile.>

<E tuo figlio?>

<T’Shan è assistito da ottimi medici ed io non posso fare nulla per lui. Se le sue condizioni dovessero migliorare… o peggiorare mi avvertiranno immediatamente.>

<Non ti è venuto il dubbio che M’Koni ti abbia nominato ambasciatore per liberarsi di una presenza ingombrante?>

S’Yan sorrise e rispose:

<Se anche fosse, la capisco. Al suo posto avrei fatto lo stesso. Non si può iniziare una nuova era avendo intorno le reliquie della vecchia.>

<Sia come sia, mi mancherà la tua compagnia.>

Ci fu un momento di silenzio poi S’Yan chiese:

<Perché non vieni con me?>

<Stai dicendo sul serio?> esclamò Ramonda sorpresa.

<Sono serissimo. Con la salita al Trono di M’Koni non sei più la Regina Madre ma semplicemente la Regina Vedova e nulla ti trattiene più qui. Anche tua figlia Shuri è adulta ormai e sa badare a se stessa.>

<Oh, lei ne è di sicuro convinta. >

<E dunque?>

<La tua offerta mi tenta ma vorrei parlarne con Shuri non appena sarà di ritorno dalla sua missione diplomatica in quella città di lupi.>[3]

<Mi sembra ragionevole. Io…>

Una forte esplosione impedì a S’Yan di continuare.

<Che sta succedendo?> esclamò Ramonda.

<Nulla di buono, temo.> rispose S’Yan.

<Ed avresti ragione, vecchio.> disse una voce femminile.

Una giovane donna in tuta azzurra era apparsa improvvisamente e puntava contro di loro una strana pistola.

<Fate i bravi e nessuno si farà male.> disse con il sorriso sulle labbra <Una mossa sbagliata e vi uccido.>

 

 

Palazzo Reale di Wakanda, adesso.

 

L’eco della sirena dell’allarme azionato da M’Koni si stava spegnendo quando il rumore dell’esplosione fece tremare le mura e M’Koni si convinse ancora di più che le cose erano diventate decisamente serie.

La sua preoccupazione immediata era per suo figlio: l’esplosione veniva proprio dalla zona delle palestre dove lui si trovava.

Cominciò a correre e contemporaneamente parlò al microfono incorporato nella maschera:

<Taku, W’Kabi.  Il palazzo è sotto attacco. Allarme rosso.>

<<Ho già dato gli ordini necessari.>> rispose il Ministro della Difesa <<Cosa sai degli aggressori?>>

<Crocodile.> rispose M’Koni <Ha mandato Nakia ed anche altri, è chiaro.>

L’attacco era stato evidentemente studiato con cura, pensò M’Koni. Non poteva essere un caso che fosse avvenuto quando il Lupo Bianco era assente per una missione personale.[4]

Senza che lei se ne accorgesse, alle sue spalle la donna che si faceva chiamare Malizia si era risvegliata.

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Praticamente nulla da dire e quindi passiamo subito a parlare del prossimo episodio dove scopriremo qualcosa in più sul grande assente da questa storia ovvero il Leopardo Nero (mentre Okoye c’è ma non ve ne siete accorti -_^) e ci divideremo tra le vicende politico-criminali della Grande Mela e quelle politico-belliche del Wakanda. Non mancate.

 

P.S. un grazie a Valerio Pastore per avermi fornito il pretesto per tenere Shuri ed il Lupo Bianco fuori da questo episodio. -_^

 

 

Carlo



[1] È accaduto su Black Panther Vol. 3° #12 (In Italia su Cavalieri Marvel #12).

[2] Per motivi spiegati su Capitan America #100.

[3] Ovvero Lykopolis, come visto su Power Pack #30.

[4] Di cui saprete di più leggendo Justice Inc #25 e 26.